31 ottobre 2019

"Il cantastorie "





Dal libro di Luigi Rogasi-

Il cantastorie-
U cantastori arrivava di solito in primavera- estate e si piazzava vicino Palazzo Musso lato Torre Cabrera.
Non era mai solo l accompagnava un assistente che collaborava suonando il tamburo per avvisare la popolazione che di li a poco avrebbe avuto inizio lo spettacolo.
I cunta riguardavano in genere avvenimenti tragici avvenuti in Sicilia.
Sistemato il cartellone di legno reso stabile da un pesante piedistallo per difenderlo da improvvise folate di vento..
Nel cartellone c era abbastanza spazio per contenere numerosi quadretti ad olio o ad acquarello raffiguranti le scene i cui personaggi erano stati deliniati poco prima.
Si trattava di fatti realmente accaduti ingigantiti dalla fantasia popolare il finale doveva avere una morale e doveva interpretare i gusti del pubblico.
L ultimo rullio di tamburi avvertiva che lo spettacolo stava per iniziare mentre la gente si stringeva a semicerchio apprestandosi a seguire nel silenzio assoluto.
Le sue parole erano talmente dure aspre o dolci da influenzare gli spettatori che si schieravano già pro o contro esternando sentimenti di pietà o di rabbia arrivando addirittura a battere le mani quando giustizia era fatta.

28 ottobre 2019

" A Fabbrica ro ghiacciu "




A Pozzallo esisteva una fabbrica rò ghiacciu proprio all interno rò mulinu rà Siena.
Altro che condizionatori e freezer.
U mulinaru una persona adetta al ghiaccio passava di casa in casa con i suoi pezzi di ghiaccio, avvolti nella juta per farli durare di più, perchè in estate il sole era forte.
Portava con se' anche una piccola accetta perche le balle di ghiaccio erano lunghe e accontentava le persone che non potevano comprarla tutta.

27 ottobre 2019

" Gli Uccièri "




Dal Libro di Luigi Rogasi -

Gli Uccièri-
Come categoria a sè- esercitante cioè un piccolo commercio con l apertura di un locale indipendente dalla casa di abitazione- gli uccieri i macellai di oggi fecero la loro apparizione in un secondo tempo. Non c era molta richiesta di carne e le loro Putie rimanevano aperte solo per pochi giorni la popolazione di Pozzallo considerava il pesce come suo alimento principale.
La carne era considerata ancora un lusso da signori o per ammalati, in realtà veniva acquistata una- due volte la settimana motivo per cui i macellai restavano aperti soltanto dal venerdi- giorno della macellazzione-fino a mezzogiorno della domenica successiva.
Considerando poi che il venerdi giorno di astinenza dalla carne, mangiarne era ritenuto peccato-non restava che ripiegare su i cosi i rintra la trippa, come se non si trattasse lo stesso di carne erano invogliate dal basso costo.
Il sabato e domenica invece si poteva scegliere fra Carni i Bruòru, carni netta e carni ri sacunna. negli altri giorni l apertura delle putie dipendeva dalla disponibilità di carne invenduta in precedenza-

19 ottobre 2019

" Vavveri "




Barbiere
Il mestiere del barbiere, inteso come lo era una tempo, rimane ormai praticato in pochissimi casi nel nostro territorio.
Dopo l’invenzione del rasoio elettrico e degli “usa e getta” per radersi la barba e del “tagliacapelli elettrico”, anche quest’ultimo comodo per il fai da te in casa, il barbiere moderno è più uno parrucchiere specializzato nella cura della bellezza dell’uomo.
Una volta, invece, questo personaggio svolgeva ad interim ben altre attività: 
il dentista, l’infermiere e anche il salassatore.
Infatti, egli estraeva denti od applicava dietro le orecchie dei pazienti la mignatta, da noi chiamata ‘a sanghetta, (la sanguisuga), e poi, quando questa si staccava, la svuotava dal sangue o la buttava via. 
Caratteristica era l’attesa paziente di clienti fino a tarda sera, spesso in una piccola stanza che conteneva gli arredi indispensabili: due o tre sedie imbottite e regolabili, provviste di braccioli e poggiatesta; altre sedie normali e, una vetrina che conteneva tutti gli attrezzi e un contenitore di zinco per attingere l’acqua.
Nel periodo natalizio, il barbiere usava regalare a tutti i clienti il classico calendario profumato tascabile, che trattava argomenti di lirica, di cinema e di canzoni, ma soprattutto era arricchito da immagini spesso proibite, che destavano tanto l’attenzione di grandi e piccoli.
Nella prima pagina era evidenziato, a grandi lettere, il nome del barbiere, il luogo dove si trovava ‘u salùni (il salone, così veniva chiamato), e infine gli auguri di buon Natale e felice Anno Nuovo, le altre pagine che seguivano, erano tenute assieme da un cordoncino colorato e contenevano i mesi, i giorni dell’anno e le illustrazioni che evidenziavano la grazia e l’esuberanza femminile.
Gli uomini maturi, si premuravano di averne uno e custodirlo nel portafoglio all’insaputa della moglie, mentre gli adolescenti, con la scusa di guardare il giorno, lo tiravano continuamente fuori dalle tasche al fine di dare una sbirciatina alle pagine più licenziose.
Prima di iniziare il lavoro, il barbiere, che conosceva bene le preferenze dei clienti, chiedeva loro come desideravano fossero loro tagliati i capelli: ‘na scuzzata, (una accorciata); ‘a tunna, (rasati a zero); ‘a tedesca, (corti dietro e più lunghi davanti); all’umberta, (tutti in alto); ‘a sfumari ‘ntò cozzu (rasati con sfumatura alta sulla nuca) e lassàti cchiù longhi davanti, ecc.
Subito dopo i preliminari, tolta ‘a tistèra (il poggia testa) dalla sedia, stretta bene intorno al collo ‘a mantillina, corto mantello che serviva per protezione, iniziava la sua opera facendo abilmente uso d’a fobbicia e d’u pettinu.
Per fare la sfumatura, adoperava ‘a macchinetta, tagli capelli regolabile; per sfoltire i capelli usava ‘a fobbicia a denti; per sfilarli o pareggiarli 
‘u scardillinu, (rasoio a lama stretta); per bagnarli si serviva d’a mpullina, (ampolla di ottone) che conteneva acqua.
Infine, tolti i pila superflui d’u nasu e d’i ricchi, (i peli del naso e delle orecchie), dopo aver dato ‘na ddrizzata (una aggiustatina) ‘e mustazzi, (i baffi), spruzzava con ‘a pumpetta, (bottiglia con spruzzatore in gomma), ‘u borotaccu, (il borotalco), o cipìa (cipria), e subito lo eliminava assieme ai peli superflui rimasti, c’u spazzulinu (una pennellessa molto fine). Per radere la barba, bisognava prima ammorbidirla con la saponata per mezzo d’u pinnellu, (pennello), immergendolo nel sapone che si trovava ‘nta coppa, (recipiente di ottone).
Questa paziente operazione, veniva portata a termine da un apprendista, ‘u giùvini, il quale, quando non arrivava al volto del cliente, adoperava come rialzo ‘u banchìttu, (predella di legno).
‘U principali, (il maestro), effettuava la rasatura con ‘u rasolu, (il rasolio) affilatissimo, operazione molto delicata che comportava praticità e competenza, specialmente in alcuni punti della faccia:’u babbaròttu (il mento), e sutta o còddu, (sotto le mascelle), dove si poteva verificare qualche taglietto. Per porre rimedio a quest’ultimo inconveniente, si usava ‘u stagniasangu, (matita emostatica).
Se il rasoio tagliava poco, bastava passarlo più volte supr’a strappa, (una striscia di cuoio sulla quale si metteva una composizione di cera chimica, ‘a pasta, per renderla più liscia oppure si passava supr’a petra dì firrari, (sulla pietra dei fabbri ferrai), così ritornava affilatissimo.
Per una rasatura più profonda, bisognava fare ‘u contrapìlu, (il contropelo), mentre per evitare infezioni sulla superficie rasata, veniva passata ‘a petra lumi, minerale composto da solfato e potassio.
In epoca remota, proprio a Roccalumera nella frazione Allume, veniva estratto questo minerale, tanto da dare lo stesso nome alla frazione.
Per pulire ‘u rasolu si usavano piccoli rettangoli di carta di giornale oppure le schedine della Sisal non utilizzate.
Infine, con un attrezzo particolare munito di pumpetta, si spruzzava l’assenzu, un profumo simile al dopo barba che si diffondeva per tutta la stanza.
Il cliente era servito, mentre un altro si preparava a sostituirlo.

18 ottobre 2019

" Cartiddaru o panararu "



Cartiddaru o panararu cestaio, 

facitor di ceste, panieri e simili, intrecciando verghe di olivo, castagno, vimini, ecc, e liste di canne. Cartedda (corba) era la cesta con manici da potersi trasportare da un luogo all'altro.
U cartidduni era una delle ceste più grandi, utilizzata per il trasporto dell’uva dalla vigna al palmeto.


Gli attrezzi necessari erano un coltello, un falchetto e un punteruolo, fatto con un pezzo di canna. Un'attenzione particolare richiedeva il rivestimento delle damigiane per l'olio e il vino, in quanto bisognava rispettare la forma del contenitore e assicurare una certa robustezza, dovendo sostenere un peso che superava i 50 chili.


 Intrecciare ('ntrizzari) canne e giunchi rientrava nelle abilità comuni, per cui molti contadini vi si dedicavano nei momenti di calo delle attività agricole; in qualche caso il lavoro poteva essere svolto a pagamento, dedicando qualche rancata (una parte di giornata) a fare alcuni oggetti.
 I contadini dell'area ad ovest dell'Etna, si dedicavano anche alla costruzione dei furrizzi, sgabelli rudimentali realizzati usando tronchi di ferla, ferula (Ferula communis), stante che le scarse condizioni economiche non consentivano l'acquisto di sedie in legno.




12 ottobre 2019

" CARMELO MUCIA "




DON CARMENU 'U PUSTINU 
Pozzallo, 6 giugno 1884 20 settembre 1971 
Carmelo Mucia La stima è come una medaglia al valore: si conquista spesso sul campo. 
Un campo fatto però di persone che sperano o gioiscono anche grazie ad un "messaggero" di buone novelle: come lo era Carmelo Mucia, portalettere, figlio e padre di portalettere. 
Dopo un’esperienza d’imbarco e di emigrazione, alla morte del padre fu chiamato a prenderne il posto, per lasciarlo a causa della Prima Guerra Mondiale, nel quale fu sostituito dalla sorella Concettina fino al Congedo. Un lavoro soprattutto sicuro, che gli consentì peraltro la possibilità di formarsi una famiglia: nel 1922 sposò infatti la sua concittadina Angela Rosa, di otto anni più giovane, che nell’arco di un paio di lustri lo rese padre di cinque figli. 
In quel periodo il servizio esterno era affidato anche al fratello Salvatore 
(ḍon Turiḍu ’u pustinu), col quale riusciva a coprire l’intera area urbana: un lavoro che richiedeva i suoi tempi, che lo portava ad operare all’aria aperta e, senza volerlo, a conoscere anche le novità del paese. 
Come avvenne nel 1924, per la miracolosa guarigione della diciottenne Concettina Muccio, verificatosi subito dopo aver baciato la Sacra Reliquia del Braccio di San Francesco Saverio: Carmelo Mucia che, assieme ad altri, era a conoscenza della malattia, il 17 luglio fece testimonianza giurata sul Vangelo su quanto aveva potuto personalmente constatare. Quel documento, importantissimo, venne poi allegato agli "atti" del miracolo riguardante 
la giovane pozzallese. 
La sua vita proseguiva tra famiglia e lavoro, nel quale riscuoteva stima e simpatia: faceva il giro del paese due volte al giorno, portando nelle case le notizie che arrivavano da paesi e da porti lontani, sia in pace che in guerra. Specialmente nei primi mesi del 1943, quando, a causa dei frequenti bombardamenti, la precarietà spinse la popolazione a trasferirsi nelle campagne circostanti: "ḍon Carmenu ’u pustinu" - come veniva solitamente chiamato - continuò però a rimanere al suo posto, attraversando le vie silenziose di una città fantasma, nella speranza di trovare i destinatari della poca corrispondenza in arrivo. Era l’effetto della guerra: la mancanza del calpestio quotidiano aveva addirittura fatto spuntare il verde ovunque, 
dalle zanelle, alle "ciappette" ed ai marciapiedi. Anche dopo il Conflitto, Carmelo Mucia continuò a rendersi utile verso chi soffriva nell’attesa di notizie che non arrivavano mai: durante lo smistamento della posta giunta in serata, usava infatti mettere da parte le lettere "ritardatarie" che consegnava quasi al buio, prima del suo rientro a casa, appagato di aver "donato" agli interessati una notte più serena. Una sensibilità, come si può notare, che andava oltre il comune senso del dovere e che lo portava ad immedesimarsi nelle preoccupazioni degli altri. 
La famiglia restava però al centro della sua vita: la sua era una famiglia che viveva in gioiosa sintonia di affetti, unione di sangue che induceva a superare i momenti difficili, mai desiderati ma pur sempre presenti. 
 Le figlie Amelia (3 ottobre 1927 - 26 novembre 2014) e Maria (1º novembre 1929), crescendo, diventavano sempre più il motore della casa, mentre i maschi non potevano che seguire la via paterna: Pasquale (28 agosto 1923 - 14 novembre 2008), Giovanni (10 gennaio 1932 - 16 agosto 2017) e Umberto (16 luglio 1933 - 23 luglio 2017) furono infatti assunti anche loro alle Poste, continuando in una tradizione divenuta ormai familiare. Umberto, nel 1994, chiudeva tuttavia un rapporto generazionale durato quasi un secolo: un lavoro verso il quale tutti avevano saputo mantenere quell’impagabile rapporto umano che era stato la loro caratteristica. Il padre era però rimasto un modello da seguire, ligio com’era ad un’etica professionale che indubbiamente faceva parte di se stesso e dalla quale non aveva mai derogato: non c’era infatti febbre, solleone o pioggia che potevano trattenerlo dal fare quella sua lunga passeggiata quotidiana che riteneva peraltro salutare. 
Carmelo Mucia era certamente un personaggio singolare che si era meritata la stima altrui grazie alla sua umiltà, al suo sorriso, al suo modo di fare: perfino il timbro della sua voce faceva parte dell’ambiente, soprattutto quando, soffermandosi dinanzi ad una soglia, ripeteva "postaaa!" con una tonalità prolungata ed inconfondibile. La domenica, e qualche pomeriggio, frequentava anche la "Società Operaia", trascorrendo dei momenti rilassanti in compagnia di persone che si stimavano a vicenda. Nelle vecchie generazioni permane ancora il ricordo di un postino che era diventato familiare a piccoli e grandi: tutti, uomini e donne, il 20 settembre 1971 ne rimpiansero la morte, avvenuta di vecchiaia all’età di 87 anni. 
Era scomparsa senza dubbio una figura d’altri tempi, un galantuomo il cui ricordo è stato già trasmesso dai figli ai nipoti in una continuità di affetti. Perché la famiglia era stata per lui un mondo d’amore che riusciva a colmare la sua vita: una vita esemplare, trascorsa in semplicità, ma che di tanto in tanto farà certamente capolino fra le pieghe della memoria.

 Luigi Rogasi, 
 Pozzallesi del xx secolo

11 ottobre 2019

" Lattaru "



Dal libro di Luigi Rogasi-

La vendita del latte a Pozzallo-
I crapari padroni di capre ed ovini in genere scendevano in paese tutti i giorni ne percorrevano a piedi le vie, preceduti sempre da mucche e capre ed erano annunziati non solo da muggiti e da belati ma anche dal suono dei campanacci appesi al collo degli animali
All avvicinarsi di questi suoni mattutini sempre puntuali, le donne si affacciavano alla porta porgendo la classica - pignatedda- nella quale veniva munto il latte, chiedendo a volte di provvedervi loro stessi, se non altro perchè erano sicure di avere le mani pulite, ma sopratutto per evitare la schiuma che il -craparu- riusciva a far venire sù per aumentare il volume del latte. cosi senza passaggi intermedi con lo stesso pentolino si provvedeva anche alla bollitura, insomma dal produttore al consumatore.
Fù verso la fine degli anni 40 per disposizione del Sindaco che i pastori cominciarono a portare con sè dei recipienti di latta o zinco con beccuccio, lasciando finalmente gli animali liberi nel loro habitat naturale, per misurare il latte venivano usate delle brocchettine dello stesso metallo da uno o da mezzo litro, che poi inseguito furono sostituite da bottiglie di vetro trasparente a bocca larga

10 ottobre 2019

Il Chioggiotto Verace ·






Un bambino chiede: “mamma che è un marinaio?”
Davanti al dubbio, la mamma gli risponde "è quell'uomo che non ha orari di lavoro, è colui che non ha il Natale, è quell'uomo che non ha un anno nuovo, che non festeggia compleanni né feste, che non ha estati, né inverni, che non abbraccia i suoi cari nei momenti difficili.
Per lui tutti i giorni sono uguali, è come la Bandiera Nazionale, si lava con la pioggia e si asciuga con il sole... è colui che non ti vede crescere e non vede passare i tuoi anni.
È colui che ha come amica il buio della notte, le stelle con cui condivide i suoi problemi e nelle notti più fredde, i suoi pensieri, è colui che non risponde alla sua famiglia, perché deve occuparsi degli altri, è colui che dorme meno di chiunque altro nel corso della sua vita e sa già che morirà prima degli altri, stanco e senza amici.
È colui che quando serve si converte in dottore, psicologo, meccanico, dizionario, guida e persino semaforo degli altri.
È quello che si commuove per un pensiero, una frase, una canzone o per orgoglio. Ma non lo da mai a vedere, non può, perché quello che fa vedere all'esterno è forza per gli altri.
È quello che mostra la tua foto, e dice orgogliosamente questo è mio figlio.
E quando nessuno lo vede, carezza i sui pensieri, abbraccia qualche foto e piange”.
Poi la mamma, con le lacrime agli occhi, abbraccia il bambino e gli dice: “Per questo ci godremo questa giornata da soli, ma orgogliosi. Perché... tuo padre è un marinaio"!

09 ottobre 2019

IL CASSIERE E IL BAMBINO....


Camminavo dentro un centro commerciale, quando ho visto un cassiere che parlava con un bambino, avrà avuto 5 o 6 anni .. Il cassiere disse:
"Mi dispiace, ma non hai abbastanza soldi per comprare questa bambola.
Poi il bambino si rivolse al cassiere e chiese: sei sicuro che non ho abbastanza soldi?
" Il cassiere contò ancora una volta il suo denaro e rispose:
"Lo sai che non hai abbastanza soldi per comprare la bambola" Il bambino aveva ancora in mano la bambola.
Alla fine, mi incamminai verso di lui e gli chiesi a chi voleva dare questa bambola.
"È la bambola che mia sorella amava di più e voleva tanto.
Volevo regalarla per il suo compleanno.
Devo dare la bambola alla mia mamma in modo che possa darla a mia sorella quando andrà là.
" I suoi occhi erano così tristi mentre diceva questo. "Mia sorella è andata a stare con Dio .. Papà dice che anche la mamma vedrà Dio molto presto, così ho pensato che potesse portare con sé la bambola per darla a mia sorella ..." Il mio cuore si è quasi fermato.
Il ragazzino mi guardò e disse: "Ho detto a papà di dire alla mamma di non andare ancora.
Ho bisogno che lei aspetti finché non torno dal centro commerciale.
" Poi mi ha mostrato una foto molto bella di lui dove stava ridendo.
Poi mi ha detto "Voglio che la mamma mi porti la mia foto così mia sorella non mi dimenticherà". 'Amo la mia mamma e vorrei che non dovesse lasciarmi, ma papà dice che deve andare a stare con la mia sorellina.' Poi guardò di nuovo la bambola con gli occhi tristi, molto tranquillamente .. Ho rapidamente raggiunto il mio portafoglio e ho detto al bambino. "Supponiamo che controlliamo di nuovo, nel caso avessi abbastanza soldi per la bambola?" "OK", disse, "spero di averne abbastanza". Ho aggiunto alcuni dei miei soldi a lui senza che lui lo vedesse e abbiamo iniziato a contarli.
C'era abbastanza per la bambola e anche qualche soldo in più.
Il bambino disse: "Grazie a Dio per avermi dato abbastanza soldi!" Poi mi guardò e aggiunse:
"Ho chiesto la scorsa notte prima di andare a dormire a Dio per assicurarmi di avere abbastanza soldi per comprare questa bambola, così che la mamma potesse darla a mia sorella. Mi ha sentito! '' 'Volevo anche avere abbastanza soldi per comprare una rosa bianca per la mia mamma, ma non osavo chiedere troppo a Dio.
Ma mi ha dato abbastanza per comprare la bambola e una rosa bianca.
La mia mamma ama le rose bianche. " Poi sono uscito dal centro commerciale ma non riuscivo a togliermi dalla testa il bambino.
Poi, due giorni fa, mi sono ricordato di un articolo di un giornale locale che parlava di un ubriaco in un camion, che ha investito un'auto occupata da una giovane donna e una bambina.
La bambina morì subito e la madre fu lasciata in uno stato critico.
La famiglia dovette decidere se staccare la spina dalla macchina che sosteneva la vita,
perché la giovane donna non sarebbe stata in grado di riprendersi dal coma.
Era questa la famiglia del bambino? Due giorni dopo questo incontro con il bambino, ho letto sul giornale che la giovane donna era morta.
Non riuscivo a fermarmi quando comprai un mazzo di rose bianche e andai alle pompe funebri dove il corpo della giovane donna è stata esposta perché le persone potessero vedere e fare le ultime preghiere prima della sua sepoltura.
Era lì, nella sua bara, con in mano una bella rosa bianca con la foto del bambino e la bambola appoggiata sul suo petto.
Con le lacrime agli occhi, ho sentito che la mia vita era cambiata per sempre ... L'amore che il bambino ha avuto per sua madre e sua sorella è ancora oggi difficile da immaginare.
E in una frazione di secondo, un guidatore ubriaco gli aveva tolto tutto questo.


07 ottobre 2019

" Il lavoro ra Lavannera "


Antichi Mestieri
Lavannara


 - nto scupiertu delle nostre vecchie case non poteva mancare - a pila cco stricaturi questa veniva colmata d acqua per mezzo di - bummula quartari o vaschi ri zincu - che le persone di famiglia riempivano nelle fontanelle dei quartieri di Pozzallo in molte abitazioni veniva utilizzata invece l acqua ra sterna ricavata a suo tempo nel cortile di casa, per tirarla sù veniva usato un secchio metallico al manico era legata una corda.
La lavandaia lavava i panni dei signori che potevano permettersi di noleggiare la "lavatrice umana"




 La lavandaia lavava i panni alla ciumara il torrente che sfocia a Santa Maria del Focallo dove li lavava e li faceva asciugare al sole in breve tempo nel torrente con qualsiasi tempo e temperatura, inginocchiata nell'erba.
Andava prima per famiglie a raccogliere i panni sporchi da lavare e poi si portava al torrente per iniziare la sua opera.
Dopo aver finito di lavare, i panni venivano stesi sull'erba ad asciugare.
I ferri del mestiere erano la cenere del camino "a liscivia" l'acqua del torrente e tanto "olio di gomito" per strofinare e sbattere sulle pietre del torrente i panni.
Spesso era necessario far bollire la biancheria sporca ed a questo proposito venivano preparate le "quadare" dove venivano bolliti i capi più grandi e resistenti (lenzuola, tovaglie), in questo modo si otteneva la sterilizzazione del bucato e, sopratutto, l'eliminazione dei parassiti (acari, cimici, pulci) un tempo molto presenti ed infestanti le abitazioni.
Spesso la lavandaia preferiva portarsi i panni .
Questo mestiere duro e faticoso, ora fortunatamente scomparso con l'avvento delle lavatrici, permetteva alle donne, sopratutto vedove o sole, di sbarcare il lunario, aumentando il magro reddito delle campagne.
Ma la lavandaia, almeno nell'immaginario collettivo, era una persona felice che cantava, sola o in coro con le compagne, allegre filastrocche e canzoni mentre attendeva al suo lavoro. <<

06 ottobre 2019

Maria Callas e Aristotele Onassis ( 1^ parte)

< parte 1^ >

storia di un amore travolgente e doloroso.
Una storia d’amore paragonabile ad 
una tragedia greca, 
proprio come l’origine ellenica di entrambi, 
quella tra Maria Callas e Aristotele Onassis


È una delle storie d’amore più celebri ed allo stesso tempo tormentate: parliamo di quella tra il celebre soprano Maria Callas ed il miliardario Aristotele Onassis. Una storia d’amore paragonabile ad una tragedia greca, proprio come l’origine ellenica di entrambi, e che ha avuto il suo punto più basso quando Onassis sposò Jacqueline Kennedy, portando conseguentemente alla depressione la Divina.

Maria Callas, un’artista eccezionale

Dotata di una voce particolare, che coniugava un timbro unico a volume notevole, 
grande estensione e agilità,
Maria Callas è riconosciuta come la donna soprano più famosa al mondo. 
Dietro al suo successo come artista, si cela una vita intensa ma travagliata,
fin dalla piccola età.
La separazione dei suoi genitori e il conseguente allontanamento dal padre a cui era legata, i conflitti con la madre, ma soprattutto l’amore impossibile con Onassis l’hanno segnata profondamente. 
Aristotele era un armatore e finanziere 
molto ricco, 
amante della bella vita e delle belle donne. 
Nel 1945 sposò Athina Mary Livanos, 
figlia dell’armatore Stavros Livanos, 
dalla quale ebbe due figli. 
Nel 1957 divorziò dalla donna, ma continuò comunque a frequentare gli ambienti 
mondani dell’epoca.

Il primo incontro

Il primo incontro tra Callas e Onassis avvenne nel 1957 a un ricevimento a Venezia all’hotel Danieli organizzato in suo onore da Elsa Maxwell. I due si rincontrarono nel dicembre 1958, quando Onassis andò a rendere omaggio alla connazionale nel suo camerino dopo il trionfale esordio della Callas nel concerto la Grande Notte dell’Opera a Parigi. 
L’anno seguente Onassis organizzò una cena in suo onore al Dorchester Hotel di Londra, in occasione della prima della Medea con la Cossotto al Covent Garden. Onassis si fece anche fotografare mentre, al momento dei saluti, cercava di trattenere a sé Callas, ormai in pelliccia portata via dal marito. Un mese dopo i due trascorsero le vacanze estive sullo yacht Christina per una crociera insieme con Winston Churchill e consorte e ad altre personalità del Gotha internazionale. Dopo due settimane, al rientro a Monte Carlo dello yacht, Maria Callas aveva deciso di essere perdutamente innamorata del greco. Lasciò per  sempre il marito Battista Meneghini.

Una storia tormentata

L’unione tra Callas e Onassis diede subito adito alle polemiche, sia per la loro situazione coniugale (entrambi sposati), sia per la loro differenza d’età (lei aveva 36 anni, lui 53). La loro storia, durata 10 anni, fu una storia intensa ma molto travagliata, piena di gelosie, litigi, tradimenti. Il ricchissimo armatore greco la tenne lontano dalle scene, e cosa le promise un matrimonio che poi non le concesse mai. Dalla loro storia d’amore nacque un bambino, Omero, che sfortunatamente morì dopo poche ore dalla nascita a causa di un’insufficienza respiratoria. Nel 1966 Maria Callas rinunciò alla nazionalità statunitense e a quella naturalizzata italiana per tornare alla nazionalità greca, nella speranza di chiudere la sua carriera in bellezza con un nuovo matrimonio. Aristotele Onassis non solo si rifiutò di regolarizzare la loro unione, ma nel 1968, forse a seguito di dissapori con la compagna, e per assecondare un disegno economico, decise di sposare Jacqueline Kennedy, da poco vedova di John Fitzgerald Kennedy.

Il declino del soprano

Da lì inizio il lento declino della povera Maria Callas: il soprano si ritirò nel suo appartamento parigino, evitando contatti con conoscenti e amici, e nel novembre 1974 decide di ritirarsi dalle scene dopo la tournée a Sapporo con il tenore Giuseppe Di Stefano. Il colpo di grazia per la sfortunata artista avvenne nel marzo del 1975, con la morte del suo Onassis. Due anni dopo, Maria Callas morì: le sue condizioni fisiche erano da tempo compromesse. Il referto medico indicò l’arresto cardiaco come causa del decesso, smentendo le voci di suicidio]. La grave disfunzione ghiandolare della giovinezza e il drastico dimagrimento vennero citati più frequentemente come cause della sua morte.



Maria callas e Aristotele Onassis


< PARTE 2^ > 

La storia d'amore tra Maria Callas e Aristotele Onassis è l'Iliade dei sentimenti
Lei pensava di aver trovato l'uomo della sua vita, lui la compagna di prestigio: si amarono tra crociere, feste e regali da sogno 
(fino a quando comparve Jackie...).


C’è un termine ormai abusato che per Maria Callas non ci si può permettere di evitare. Quel termine è “iconica”, perché la sua faccia, il suo sguardo che esprime malinconia anche mentre sorride, il suo naso importante, le sue acconciature raccolte la rendono più riconoscibile di una Marilyn Monroe ritratta da Warhol. C’è poi un personaggio altrettanto facile da riconoscere che si chiamava Aristotele Onassis, e che al fianco di Maria Callas componeva con lei un dittico, una doppia icona, soprattutto quando indossava gli occhiali da sole da playboy, grazie ai quali ha ispirato personaggi di film e di pubblicità (come quella celebre del Martini con Charlize Theron, del 1993). Maria Callas e Onassis sono stati una delle coppie più monitorate, fotografate - anche invidiate per la ricchezza - nella fine degli anni 50. Ma ancora oggi la loro storia incuriosisce ed è bello sentirsela raccontare.

Quando Maria Callas ha conosciuto Onassis era una star all’apice della sua fama. Aveva iniziato a studiare musica a 7 anni e già da allora aveva ben chiaro di voler cantare. Nata a New York, era figlia di immigrati greci che avevano trasformato il cognome da Kalos a Callas. Quando i due si erano separati, nel 1937, la teenager Maria era tornata in Grecia con la mamma e la sorella Nicky, verso la quale soffriva di una certa soggezione perché molto più bella e popolare di lei. Due anni dopo ha debuttato nella Cavalleria Rusticana. Durante la guerra è tornata a New York dal padre, ma senza trovare ingaggi, veniva rifiutata da tutti. Alla fine è approdata a Verona dove ha incontrato l’industriale Giovanni Meneghini che l’ha sposata nel 1949, mentre la sua carriera prendeva il volo. Quando nel 1957 Maria Callas ha incontrato Aristotele Onassis era ancora saldamente sposata con lui e il divorzio in Italia non era legale.



Il fatidico incontro fra la cantante e l’armatore è avvenuto a una festa organizzata a New York da Elsa Maxwell, la celebre giornalista di gossip americana. Maria si era esibita nell’Anna Bolena di Doninzetti e il party era stato programmato per festeggiarne il prevedibile successo. Elsa Maxwell era una che il gossip non lo raccoglieva: lo creava. Nell’estate del 1948 era stata lei a presentare a Rita Hayworth il suo futuro terzo marito, il principe pachistano Aly Khan. Allo stesso modo, quella sera, avendo colto cenni di crisi col marito italiano, presentò la soprano greca a Onassis, certa di provocare delle alchimie. Maria ha 34 anni, Aristotele 51. Sono entrambi greci, hanno lo stesso modo di vedere il mondo. Lei si lascia affascinare dalla sua maturità e dal suo prestigio. Lui è stregato dalla capacità di lei di ipnotizzare le masse: “Se avesse scelto la politica invece della limitata scena dell'opera, sarebbe diventata una delle donne più potenti del mondo”, dirà a un amico. La trova abbastanza famosa da completare la sua immagine di potente, un compito che la prima moglie, Tina, non può assolvere.




 "Io sono la più grande cantante del mondo,
 tu il più grande marinaio del mondo" 

 Lui inizia a perseguitarla con una corte spietata. Le manda in ogni capo del mondo ove lei esibisce fiori, gioielli, regali costosi, tra cui un famoso cappotto di cincillà lungo fino al pavimento. Si sente così sicuro di sé da invitarla col marito sul suo leggendario yacht Christina, o alle sontuose feste pieno di celebrità che organizza per lei. In capo a due anni, Maria si arrende e diventa la sua amante senza riuscire a tenerlo nascosta ai paparazzi. Lei perde la testa per lui, si getta a capofitto nella storia senza mezze misure, ci intravede i segni inequivocabili del suo destino. Quando nel 1959 decide di lasciare suo marito, gli parla come se si trattasse di qualcosa di ineluttabile, "Per una volta, mi sento una donna", gli dice a bordo del Christina dove sono ospiti anche Winston e Clementine Churchill, e la moglie e i figli di Onassis. I due amanti si comportano tutto il tempo come se non dovessero rendere conto di nulla a nessuno, lei civetta con lui in bikini, si spalmano a vicende l’olio abbronzante, ogni tanto si appartano in cabina mentre Meneghini è tormentato dal mal di mare e Tina Onassis fa finta di non vedere nulla. Durante un approdo, i due amanti si recano da un patriarca ortodosso che impartisce loro la benedizione e li chiama “la più grande cantante del mondo e il più grande marinaio del mondo”. Lei crede che il legame, dopo di ciò, sia indissolubile. 




 Non è chiaro se Maria Callas abbia diradato gli impegni di lavoro a causa di Onassis, o se Onassis fosse la scusa che cercava da tempo per allentare la presa. Nel 1963, al regista Franco Zeffirelli che le chiedeva perché non stesse quasi più cantando, Maria Callas risponderà che stava cercando di realizzare la sua vita di donna col suo uomo. Nel frattempo, però, si sa per certo che le sue doti canore stavano cominciando a scemare progressivamente e che lui non aveva ancora divorziato dalla moglie. Secondo alcuni biografi, Maria Callas e Onassis hanno avuto anche un figlio, nel 1960, morto poche ore dopo la nascita, ma secondo l’ex marito Meneghini è impossibile perché Maria sarebbe stata sterile. Le chiacchiere bizzarre di quel periodo sono molte, si dice persino che, afflitta dalla paura di ingrassare, Maria avesse ingoiato un parassita, una tenia, per dimagrire. Intanto, per cercare di ottenere il divorzio dal marito italiano Maria fa di tutto, persino rinunciare alla cittadinanza americana per quella greca. Per legge, al tempo, i greci potevano sposarsi solo con rito ortodosso, per cui il suo matrimonio con Meneghini sarebbe risultato nullo. Nel frattempo, però, Aristotele Onassis ha tutti altri progetti che hanno poco a che fare con i sentimenti e molto col profitto. Lui vuole l’America. 




 Tutti gli sforzi di Maria per tenersi Onassis risulteranno vani. Non è servito a nulla tagliare i capelli come ha chiesto lui, obbedire al divieto di indossare gli occhiali da vista (inciampando spesso), indossare solo quello che lui ordinava telefonicamente dagli stilisti. Nell’estate del 1968 lui fa in modo di invitare sul Christina anche Jackie Kennedy, la donna più amata degli Stati Uniti, tramite la sorella Lee che aveva già conosciuto (e corteggiato) e chiede a Maria Callas di non unirsi a loro perché sarebbe stato inappropriata la presenza della sua amante al cospetto di una first lady d’America. Maria è profondamente umiliata e fa una scenata, inutilmente. Onassis è ossessionato dal potere e da tutto ciò che serve per alimentarlo. Ha preso di mira Jackie per infilare un piede nel favore dell’opinione pubblica americana e facilitare lì i suoi affari. Pare che l’avesse scelta vedendo in tv il funerale del marito, dichiarando che c’era “qualcosa di greco” nei suoi modi di vedova. Onassis sposerà Jacqueline, invece di Maria. La perfetta Jackie senza reputazione di debolezze e di istrionismi, una che sapeva “stare al suo posto” al fianco di un potente. Maria Callas, devastata, si ritirerà a Parigi fino alla fine dei suoi giorni quando il 16 settembre 1977 morirà per un attacco di cuore a soli 55 anni. Quel cuor che ormai batteva in mille pezzi. Non ha mai smesso di amare Aristotele Onassis. La segretaria personale di lui racconterà però in seguito che anche lui la rimpiangeva e si recava spesso a Parigi per incontrarla segretamente. Soprattutto perché, come diceva agli amici “Jackie è un mucchietto di ossa, carezzare una coscia di Maria è tutt’altra cosa”.

Biagia - Silvana ❤ La Storia di Pozzallo_3 Silvana La Pira_3

                         - Silvana La Pira -

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