DON CARMENU 'U PUSTINU Pozzallo, 6 giugno 1884 20 settembre 1971
Carmelo Mucia La stima è come una medaglia al valore: si conquista spesso sul campo.
Un campo fatto però di persone che sperano o gioiscono anche grazie ad un "messaggero" di buone novelle: come lo era Carmelo Mucia, portalettere, figlio e padre di portalettere.
Dopo un’esperienza d’imbarco e di emigrazione, alla morte del padre fu chiamato a prenderne il posto, per lasciarlo a causa della Prima Guerra Mondiale, nel quale fu sostituito dalla sorella Concettina fino al Congedo.
Un lavoro soprattutto sicuro, che gli consentì peraltro la possibilità di formarsi una famiglia: nel 1922 sposò infatti la sua concittadina Angela Rosa, di otto anni più giovane, che nell’arco di un paio di lustri lo rese padre di cinque figli.
In quel periodo il servizio esterno era affidato anche al fratello Salvatore
(ḍon Turiḍu ’u pustinu), col quale riusciva a coprire l’intera area urbana: un lavoro che richiedeva i suoi tempi, che lo portava ad operare all’aria aperta e, senza volerlo, a conoscere anche le novità del paese.
Come avvenne nel 1924, per la miracolosa guarigione della diciottenne Concettina Muccio, verificatosi subito dopo aver baciato la Sacra Reliquia del Braccio di San Francesco Saverio:
Carmelo Mucia che, assieme ad altri, era a conoscenza della malattia, il 17 luglio fece testimonianza giurata sul Vangelo su quanto aveva potuto personalmente constatare.
Quel documento, importantissimo, venne poi allegato agli "atti" del miracolo riguardante
la giovane pozzallese.
La sua vita proseguiva tra famiglia e lavoro, nel quale riscuoteva stima e simpatia: faceva il giro del paese due volte al giorno, portando nelle case le notizie che arrivavano da paesi e da porti lontani, sia in pace che in guerra.
Specialmente nei primi mesi del 1943, quando, a causa dei frequenti bombardamenti, la precarietà spinse la popolazione a trasferirsi nelle campagne circostanti: "ḍon Carmenu ’u pustinu" - come veniva solitamente chiamato - continuò però a rimanere al suo posto, attraversando le vie silenziose di una città fantasma, nella speranza di trovare i destinatari della poca corrispondenza in arrivo.
Era l’effetto della guerra: la mancanza del calpestio quotidiano aveva addirittura fatto spuntare il verde ovunque,
dalle zanelle, alle "ciappette" ed ai marciapiedi.
Anche dopo il Conflitto, Carmelo Mucia continuò a rendersi utile verso chi soffriva nell’attesa di notizie che non arrivavano mai: durante lo smistamento della posta giunta in serata, usava infatti mettere da parte le lettere "ritardatarie" che consegnava quasi al buio, prima del suo rientro a casa, appagato di aver "donato" agli interessati una notte più serena. Una sensibilità, come si può notare, che andava oltre il comune senso del dovere e che lo portava ad immedesimarsi nelle preoccupazioni degli altri.
La famiglia restava però al centro della sua vita: la sua era una famiglia che viveva in gioiosa sintonia di affetti, unione di sangue che induceva a superare i momenti difficili, mai desiderati ma pur sempre presenti.
Le figlie Amelia (3 ottobre 1927 - 26 novembre 2014) e Maria (1º novembre 1929), crescendo, diventavano sempre più il motore della casa, mentre i maschi non potevano che seguire la via paterna: Pasquale (28 agosto 1923 - 14 novembre 2008), Giovanni (10 gennaio 1932 - 16 agosto 2017) e Umberto (16 luglio 1933 - 23 luglio 2017) furono infatti assunti anche loro alle Poste, continuando in una tradizione divenuta ormai familiare.
Umberto, nel 1994, chiudeva tuttavia un rapporto generazionale durato quasi un secolo: un lavoro verso il quale tutti avevano saputo mantenere quell’impagabile rapporto umano che era stato la loro caratteristica.
Il padre era però rimasto un modello da seguire, ligio com’era ad un’etica professionale che indubbiamente faceva parte di se stesso e dalla quale non aveva mai derogato: non c’era infatti febbre, solleone o pioggia che potevano trattenerlo dal fare quella sua lunga passeggiata quotidiana che riteneva peraltro salutare.
Carmelo Mucia era certamente un personaggio singolare che si era meritata la stima altrui grazie alla sua umiltà, al suo sorriso, al suo modo di fare: perfino il timbro della sua voce faceva parte dell’ambiente, soprattutto quando, soffermandosi dinanzi ad una soglia, ripeteva "postaaa!" con una tonalità prolungata ed inconfondibile.
La domenica, e qualche pomeriggio, frequentava anche la "Società Operaia", trascorrendo dei momenti rilassanti in compagnia di persone che si stimavano a vicenda.
Nelle vecchie generazioni permane ancora il ricordo di un postino che era diventato familiare a piccoli e grandi: tutti, uomini e donne, il 20 settembre 1971 ne rimpiansero la morte, avvenuta di vecchiaia all’età di 87 anni.
Era scomparsa senza dubbio una figura d’altri tempi, un galantuomo il cui ricordo è stato già trasmesso dai figli ai nipoti in una continuità di affetti.
Perché la famiglia era stata per lui un mondo d’amore che riusciva a colmare la sua vita: una vita esemplare, trascorsa in semplicità, ma che di tanto in tanto farà certamente capolino fra le pieghe della memoria.
Luigi Rogasi,
Pozzallesi del xx secolo