06 giugno 2020

Salvatore Giuffrida





Luigi Rogasi Pozzallesi del xx secolo

 SALVATORE GIUFFRIDA
 Rino, maestro elementare 
Pozzallo, 25 marzo 1922 Ispica, 8 febbraio 1993 
Salvatore Giuffrida Figlio di Giuseppe Giuffrida e di Concettina Barone, Rino frequentò le Scuole Elementari a Pozzallo e l’Istituto Magistrale a Modica, dove si diplomò maestro nel 1942: in pieno periodo bellico, nella speranza di trovare lavoro, si trasferì a Bologna, invitato da uno zio colà residente, grazie al quale fu assunto come Applicato in Comune a partire dal 1º settembre 1943. 
Rimase comunque nella città felsinea soltanto due anni, rientrando a Pozzallo a fine maggio 1945, abbandonando quindi anche la Facoltà di Economia e Commercio "Ca’ Foscari" di Venezia dove si era iscritto al suo arrivo a Bologna Trovandosi però senza lavoro, decise di riprendere gli studi presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli, incontrando tuttavia non poche difficoltà per raggiungere il capoluogo campano: nell’attesa di una supplenza nella scuola elementare, si convinse allora di restare a Pozzallo cominciando ad osservare passo passo l’avvio dei primi movimenti politici, che da noi erano in fermento fin dallo Sbarco Alleato in Sicilia, decidendo alfine di prendervi parte, visto che ne avvertiva senza dubbio il fascino. 
 In un primo momento aderì al Partito Repubblicano Italiano, tuffandosi nel dibattito politico, con una grinta tale da farne un oratore facondo e coinvolgente: al tempo del Referendum Istituzionale del 2 giugno 1946, si schierò logicamente per la Repubblica, poggiando le sue tesi su argomenti legati alla nostra storia risorgimentale verso la quale era spinto da una particolare predisposizione. Vittorio Emanuele II e Cavour non gli piacevano, mentre Garibaldi e Mazzini lo affascinavano: gli uni e gli altri, erano comunque il cavallo di battaglia sul quale riusciva a condurre sempre i suoi interlocutori, a volte in mezzo al Corso o in Piazza Municipio, circondati da gruppi in ascolto. Già dai tempi della scuola, la nostra storia nazionale era sempre stata la sua materia preferita, approfondita via via su libri più completi, motivo per cui i suoi dibattiti pubblici venivano seguiti con interesse crescente. La scelta della forma repubblicana gli recò peraltro motivo di soddisfazione, ritemprando le forze per nuove lotte, dalla parte questa volta del Partito Socialista Lavoratori Italiani prima e del Partito Socialista Italiano poi, ritenuto da lui come il più adatto a sostenere le idee socialiste in maniera più incisiva. Idee chiare che sapeva analizzare e presentare con convinzione nei comizi che si tenevano allora in Piazza Rimembranza sempre con maggiore frequenza: battagliero come sempre, fiero delle sue idee, non indietreggiò mai dinanzi ad interlocutori altrettanto battaglieri e, soprattutto, di un certo spessore politico. Perché Rino Giuffrida aveva la politica nel sangue e sapeva viverla con passione, guardando al futuro con mille speranze.


 Salvatore Giuffrida Quanto sopra non lo distolse tuttavia dal lavoro: il 22 gennaio 1949 aveva infatti cominciato il suo insegnamento a Pozzallo, mettendo nel suo impegno quotidiano quella carica umana che è propria degli uomini di scuola.
 Il rapporto docente-discente era improntato nel rispetto di ognuno, aiutando le coscienze a crescere, abituando i più piccoli al ragionamento, spronandoli alla lettura, allo studio serio, alle deduzioni personali, all’amore per il prossimo, alla socializzazione: era, soprattutto, amico dei suoi ragazzi, mentre i colloqui con le famiglie erano sempre aperti e cordiali. 
 Amava fra l’altro la scuola all’aperto perché gli offriva l’occasione di parlare della bellezza della campagna nelle varie stagioni, del mare e dei marosi, del volo dei gabbiani, delle corse degli animali, della creta di Pietre Nere e della sabbia fine e dorata delle nostre spiagge: perché è lí che li portava, a Pietre Nere, a Raganzino, alla Balata, al Caricatore, luoghi cari alle generazioni che nell’arco dei secoli si sono succedute nella nostra cittadina. 
 Alle sue qualità di docente scrupoloso, bisognava anche aggiungere l’intuito del giornalista che seguiva e registrava puntigliosamente la cronaca locale con articoli che venivano pubblicati sui periodici della provincia ed oltre. 
Ma la politica restava tuttavia il suo cavallo di battaglia: eletto Consigliere Comunale nelle Amministrative del 1946, diventò Assessore e Vice-Sindaco quando Sindaco pro-tempore era Vincenzo Romeo, affrontando con lui l’emergenza tifo. 
 Il suo fu un impegno politico-amministrativo ben variegato, a cominciare da quello per il porto ai problemi della scuola locale, dai primi fondi per la Biblioteca Comunale all’apertura del Centro di Lettura, dai problemi dell’acquedotto ai lavori per il nuovo Ufficio Postale di via Enrico Giunta, senza trascurare peraltro i Servizi Sociali che crescevano di pari passo con l’evolversi dei nuovi problemi legati alla nostra cittadina. 
 Ed agiva suggerendo prima le idee che, con fare battagliero, sosteneva poi nelle sedute del Consiglio Comunale: fu capo dell’opposizione invece quando l’Amministrazione Civica era Democrazia Cristiana, mirando sempre al bene di Pozzallo, città alla quale era molto legato. 


 Salvatore Giuffrida Sempre aggiornato sugli avvenimenti nazionali, abituato alla lettura, dalla memoria incredibilmente ricca di ricordi, sorprendeva quasi sempre per la nitidezza di date e dati su cose e persone che in qualche modo avevano suscitato eco nella sua vita. 
 Queste sue qualità subirono purtroppo una brusca frenata: la vita gli aveva riservato infatti delle sorprese che l’avrebbero tormentato in maniera sempre più amara. Dei sintomi di alienazione cominciarono ad alterare la realtà ed a rendere la sua mente quasi inerte, anche se sprazzi di memoria arrivavano e sparivano nello spazio di pochi attimi: in uno di questi rari momenti di lucidità, il 28 marzo 1970 si dimise da Consigliere Comunale ed il 13 novembre 1972 dalla Scuola. 
 Due passioni, la politica e la scuola, che avevano dato alla sua vita grandi soddisfazioni che tuttavia non era più in grado di gestire. 
 Maturava intanto in lui il desiderio di raggiungere Bologna in un inconscio desiderio di stare accanto allo zio Giovanni, della cui rassicurante protezione sentiva il bisogno: nel 1972 decise di prendere il treno, portandosi dietro la madre ed il fratello, la sua famiglia. Sopraggiunta la notte, senza motivo alcuno, decisero improvvisamente di scendere a Salerno proprio quando imperversava un violento nubifragio sulla città. Non sapendo dove andare, trovarono rifugio nell’androne di un palazzo vicino alla Stazione Ferroviaria, dando cosí inizio ad un calvario senza fine: a notte fonda, Rino cominciò a dare in escandescenze, obbligando una camionetta della Polizia a fermarsi per controllare la situazione. Dopo un sommario interrogatorio, il gruppo venne accompagnato all’Ospedale Psichiatrico di Nocera Inferiore: rendendosi tuttavia conto che avevano perso la loro libertà, Rino inviò petizioni su petizioni alla Magistratura locale, chiedendo con forza il rilascio suo e dei suoi, nel rispetto dei diritti civili garantiti dalla nostra Costituzione e dalla risoluzione dell’ONU, accusando addirittura i responsabili di sequestro di persona. Qualche mese più tardi furono rilasciati la madre ed il fratello che raggiunsero subito Pozzallo mentre, per lo sfortunato Rino, il domicilio coatto durò fino al suo trasferimento all’Ospedale Psichiatrico di Siracusa in base alla Legge Basaglia, resa esecutiva proprio allora. Fu quello un susseguirsi di situazioni penose con risvolti sempre diversi: anche la morte della madre aveva contribuito a sprofondarlo in uno stato mentale sempre più precario che perfino la compagnia del fratello contribuiva a rendere ancora più fragile. Le cose migliorarono soltanto in seguito all’assegnazione di un curatore da parte dell’Autorità Giudiziaria nella persona di Giuseppe Barone, figlio di un fratello della madre: rientrato a Pozzallo nel 1978, la sua mente riprese purtroppo a vagare in un buio dal quale non riusciva a sottrarsi e che lo portava a travisare maggiormente la realtà. 
Era un continuo altalenarsi di lucidità e di oscurità, di lampi di memoria e di ombre che lo conducevano errante per le vie di Pozzallo, sostando a volte con gli amici che lo avvicinavano e che egli riusciva a riconoscere, alzando spesso la voce per rimembrare con loro il pezzo di passato che in quell’istante gli si presentava in mente.
 La paranoia lo portava ad isolarsi in un mondo tutto suo, dal quale neanche i pochi parenti rimasti riuscivano a sottrarlo, né gli amici di sempre, i compagni della politica, i colleghi insegnanti o i suoi ex-allievi: guardava tutti con uno sguardo sempre più assente, mentre i contatti umani cominciavano a sfaldarsi dinanzi alla incomunicabilità che lo spingeva, suo malgrado, verso una solitudine che rendeva nullo ogni tentativo di chi voleva aiutarlo.
 A questo punto fu accompagnato in una clinica privata di Siracusa, passando poi nel Reparto Psichiatrico del Busacca di Scicli: dimesso a fine 1978, anno cruciale per la sua malattia, la situazione continuò a diventare più difficile arrivando a bruciare ben 25 milioni di lire facenti parte dei risparmi familiari mentre, alcuni anni dopo, trovò naturale distribuire banconote da 50 e da 100 mila lire ai ragazzi della Scuola Media e dell’Istituto Tecnico Nautico. Furono necessarie allora altre restrizioni: ritornò quindi al Busacca di Scicli, poi alla Casa di Cura Opera Pia Carpentieri sempre di Scicli, per essere infine accolto presso il Residence Geriatrico Mozzicato di Santa Maria del Focallo. Da qui poteva raggiungere ogni tanto la sua città natale, accompagnato però dal suo curatore al quale, nei momenti buoni, ripeteva che si sentiva ormai "un fossile" e che "non aveva più voglia di vivere". Non voleva quindi "vegetare" per "non dare peso a nessuno". La morte lo raggiunse nella stessa clinica la notte dell’8 febbraio 1993 per collasso cardiocircolatorio, causato probabilmente da edema polmonare: una morte improvvisa che colpì una cittadinanza che per diversi anni ne aveva seguito con trepidazione le drammatiche vicende. I funerali furono celebrati in forma strettamente privata nella Chiesa Madre di Pozzallo dal Parroco don Giuseppe Di Rosa, alla presenza dei parenti, degli amici e dei vecchi compagni del Partito Socialista che ne accompagnarono la salma al Cimitero, tumulata in un loculo della Società Operaia della quale aveva fatto parte. Purtroppo, come può capitare in politica, per alcuni Rino Giuffrida era già scomparso da tempo, dimenticando presto il suo vigore e la sensibilità dimostrati con entusiasmo nel tentativo - che era anche speranza - di migliorare proprio la politica: purtroppo, eventi imprevedibili cambiano spesso il corso della vita, senza riuscire peraltro a ricondurlo nel suo alveo naturale. Con lui, sfortunato figlio della nostra gente, la vita non era stata certamente benigna: vogliamo tuttavia ricordarlo qui con l’affetto che merita la sua memoria di persona buona ed intelligente, ricca di umanità, sensibile oltre ogni dire, che fu amata e che seppe amare, che si prodigò sempre per gli altri e mai per sé. Per quanti ebbero il piacere di frequentarlo e di essergli stati amici, egli fu soprattutto un amico sincero, mai infido o sleale, uno studioso apprezzato, una persona colta, un politico attento e sensibile alle esigenze dei suoi concittadini. Vogliamo conservare di lui il ricordo dei suoi anni migliori: il ricordo di un amico caro, aperto, cordiale, simpatico, di un docente che seppe entrare nel cuore dei suoi alunni, un politico battagliero, dalla parola forbita e penetrante, che ebbe sempre la fierezza di lottare in nome degli ideali ai quali dava il valore più grande. Un amico che resterà nella memoria di quanti nel corso degli anni, per un motivo o per un altro hanno fatto con lui un percorso comune: nell’infanzia o nella giovinezza, nella scuola o nella politica, nel nome di un’amicizia che aveva sempre saputo dimostrare con fatti e parole, cementata dall’amore per una città cara a noi tutti. Una città che, nel ricordarne la memoria, guarda ai valori che sono stati il fondamento della sua vita, resa purtroppo amara dall’avversità del destino.

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                         - Silvana La Pira -

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