Antichi proverbi
Quartara rutta campa cent’anni.
Il vaso rotto campa cent’anni.
Questo proverbio riguarda sia un eventuale oggetto o macchina difettosa,
sia metaforicamente chi è colpito da
qualche malattia,
una forma di incoraggiamento che trova spesso conferme nei fatti.
Arrena lu sceccu unni voli lu patroni.
Trascina l’asino dove vuole il padrone:
il proverbio va riferito all’obbedienza dei figli verso il genitore e più in generale al rispetto gerarchico per il superiore, secondo la concezione della società patriarcale ed autoritaria di un tempo.
Lu sceccu ca s’avanta nun vali mancu ‘nna lira.
L’asino che si vanta non vale neanche una lira.
Detto coniato molto prima dell’entrata in scena del famigerato Euro, sferza i presuntuosi, gli arroganti e i vanitosi così di moda nella nostra società nell’apparire e non dell’essere,
come tale non cessa mai di essere attuale.
Cilò cilò lu pièiu è lu tò.
Cilò cilò (termine privo di un particolare significato) il peggio è tuo.
Si usa per commentare l’annuncio di una scelta che si vuole denigrare.
Asini e picciliddri ‘Ddiu l'aiuta.
Dio aiuta asini e bambini;
questo splendido proverbio getta luce sulla concezione evangelica di Dio come protettore dei poveri in spirito, tuttavia c’è un altro risvolto, nel senso che il detto accompagna la persona maldestra o stolta, bisognosa eccome di un intervento divino, considerata la sua
condizione di svantaggio!
Aranci aranci, cu l’avi si li chianci.
Aranci aranci, chi c’è li ha se li piange.
Proverbio che indica il rifiuto di partecipare
al dolore altrui,
come tale non sembra
particolarmente simpatico.
Agnieddru a ‘ssucu… e finì lu vattiu.
Agnello al sugo… ed è finito il battesimo.
Le feste in famiglia, anche le più solenni,
all’epoca dei nostri bisnonni si svolgevano
con estrema parsimonia.
Per i più fortunati c’era un semplice
pranzo a base di carne,
così rara nei ceti medio-bassi al punto che la sua apparizione sembrava già un evento nell’evento. L’adagio recita che anche le cerimonie e i banchetti si riducono a ben poco,
finito il piatto forte…
Ma il proverbio è adattabile a molti
differenti contesti.
Avanti nivuru pani ca nivura fami.
Meglio pane nero che nera fame;
è un invito a nutrirsi di quel che si ha davanti in caso di necessità,
ad accontentarsi delle piccole cose invece di pretendere mari e monti.
Cielu a picurinu si nun chiovi oi,
chiovi a lu matinu.
Cielo a pecorelle, se non piove oggi, piove l’indomani mattino:
chiaro riferimento meteorologico,
del genere “rossura di sera, bel tempo si spera”!
A Santa Lucia un cuecciu di cuccia.
A Santa Lucia un chicco di cuccia.
Il proverbio si riferisce al timido aumento delle ore di luce riscontrabile
effettivamente dal 13 Dicembre in poi.
Molto bella è l’allusione alla Cuccìa,
pietanza tipica del giorno consacrato alla
martire siracusa Lucia,
a base di grano bollito e condito con
olio e zucchero o sale.
A Natali un passu di cani.
A Natale un passo di cane.
Può essere definito un sequel (continuazione) del precedente adagio,
in quanto a Natale si riscontra un aumento delle ore di soleggiamento,
timido ma un po’ più vigoroso rispetto all’irrisorio chicco di grano della
festività di S. Lucia;
da qui la splendida immagine del passo di cane:
un piccolo ma significativo passo verso la conclusione della malinconica
parentesi invernale,
ancor più dopo Novembre, notoriamente il mese in cui i giorni sono i più brevi dell’anno.
Cu ama ‘Ddiu campa felici,
cu unn'avi sordi perdi l'amici.
Chi ama Dio campa felice,
chi non ha soldi perde gli amici:
la felicità come fede in Dio è
superiore all’amicizia,
spesso fondata sulle basi infide della convenienza e dell’interesse
che non su un sincero rispetto reciproco.
La mamma è l’arma.
La mamma è l’anima.
Fin troppo ovvia la spiegazione…
Doppu li Tri Re, alè alè alè.
Dopo i Tre Re (cioè l’Epifania) alè alè alè.
Può essere efficacemente commentato
con l’adagio
L’epifania tutte le feste si porta via.
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