21 marzo 2021

Fidanzamento e matrimonio fine anni ’50 in una Sicilia ancora prettamente rurale


“Cu ha dinari assai sempri cunta e 

cu havi ‘a muggheri bedda sempri canta… 

(Chi ha tanti soldi conta sempre, 
chi ha una bella moglie canta sempre…) 
proverbio siciliano!


La cultura e le tradizioni passate sono certamente le basi che creano le attuali società. È bene non perderle, ma portarle avanti nel tempo se non nei fatti almeno nel ricordo. È proprio quello che mi sono proposto di fare con questo certosino lavoro “Matrimonio a Ragusa Ibla negli anni ’50”. 

 Una ricerca impegnativa che mi ha permesso di scoprire un mondo affascinante, fatto di tradizioni e curiosità di un periodo che non è poi molto lontano da noi e che ha visto come protagonisti anche i nostri genitori e nonni!

Attraverso interviste fatte ai genitori e agli anziani del quartiere degli Archi (Ragusa Ibla), sono riuscito a raccogliere sufficienti informazioni per iniziare il codesto lavoro e per sviluppare una raccolta ricca ed interessante sulle tradizioni. Ho cominciato ad analizzare il fidanzamento e il matrimonio combinato di una volta. Bisogna sapere, infatti, che l’unione tra un ragazzo ed una ragazza era spesso vincolato da motivazioni ben diverse dall’amore e che i genitori costringevano spesso i propri figli a fidanzarsi e a sposarsi per interessi economici o sociali. Le ragazze promesse in matrimonio non potevano assolutamente opporsi alla volontà familiare ed erano quindi costrette a sposare l’uomo non amato.

Normalmente il matrimonio combinato avveniva in questo modo: la madre dello sposo sceglieva la ragazza per il proprio figlio, chiamava “U Sinsali” (l’ambasciatore del quartiere) e lo inviava a casa della ragazza per fare al padre la richiesta della mano della figlia. Il padre, esaminata la proposta, dava la risposta e, dopo aver preso la decisione, la comunicava alla propria figlia. Da quel momento in poi, ella avrebbe dovuto mantenere atteggiamenti riservati in pubblico ed a casa. Inoltre, ai giovani promessi sposi era vietato vestire abiti succinti e uscire di casa da soli, ma dovevano essere sempre accompagnati da qualcuno. Secondo momento importantissimo era quella del fidanzamento ufficiale, che avveniva prima dell’unione matrimoniale. In questa occasione, chiamata tradizionalmente “a trasuta’”, cioè “l’entrata”, le famiglie dei due fidanzati si conoscevano e, con un ricevimento fatto a casa della sposa, rendevano “ufficiale” la relazione dei figli, non solo tra di loro, ma soprattutto all’intero paese.

Singolare è l’esempio della “carta ra doti”, che elencava la dote che le ragazze dovevano possedere al momento del matrimonio (lenzuola, coperte, tovaglie, strofinacci, mobili, terreni, ecc.). Spesso, durante questi incontri le famiglie litigavano e la figura della mamma dello sposo emergeva per la sua arroganza e per le sue pretese, distinguendosi dalla mamma della sposa, che sembrava più remissiva e più propensa ad assecondare la consuocera, sempre possessiva nei confronti del figlio maschio. Molto spesso si scatenavano litigi che portavano alla rottura del fidanzamento; in quel caso, si cercavano velocemente altri sostituti, perché la mentalità del tempo non vedeva di buon occhio gli uomini e le donne non sposati. Dopo il fidanzamento si passava agli accordi per il giorno del matrimonio: inviti ed invitati, festeggiamenti, pranzo. Singolare era la consegna degli inviti. I genitori degli sposi, generalmente i padri, andavano personalmente ad invitare i parenti e gli amici per ben tre volte! La prima per informare della data del giorno del matrimonio, la seconda per confermare la data e la terza per prendere la risposta dei partecipanti al matrimonio.

I festeggiamenti duravano tre giorni: il primo giorno si festeggiava a casa della sposa con amici e parenti, il secondo e il terzo a casa dello sposo, sempre con amici e parenti.

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