quando i monaci olivetani producevano del sapone con il quale compravano umili mobili per arredare il proprio convento sito in quella che oggi si chiama propria Via Monteoliveto, nei pressi di Piazza del Gesù e di fonte alla chiesa di Sant’Anna dei Lombardi.
Il sapone prodotto da quei monaci era di elevatissima qualità, e il baratto era sempre a favore dei falegnami e dei rigattieri, che poi rivendevano il sapone, simile a quello di Marsiglia,
guadagnandoci ulteriormente.
Esso era utilizzato, oltre che per lavare i panni, anche per la pulizia del corpo e dei capelli, usanza sopravvissuta fino a circa tre decenni fa, quando le grandi aziende non avevano ancora invaso il mercato con i propri prodotti, fattore che poi ha determinato la scomparsa del saponaro, di cui si parla di seguito..
Prendendo spunto dagli olivetani il saponaro divenne un vero e proprio mestiere, praticato da chi non sapeva esercitare alcuna arte, e infatti quella figura un po’ presa in giro dagli artigiani i quali, al contrario, possedevano specifiche abilità apprese nell’arco di anni; per questo motivo, ancora oggi c’è chi apostrofa “saponaro”, o peggio “sapunariello”, colui il quale non possiede alcuna competenza, è totalmente incapace.
In realtà i saponari una grande abilità l’avevano, ed era quella di riuscire a persuadere le donne di casa ad acquistare il proprio sapone (successivamente anche altra merce di uso giornaliero) che sovente era scarsissimo e non particolarmente profumato, acquisto che avveniva, ancora, attraverso il baratto: il saponaro accettava di tutto, specialmente mappine, vestiti consunti e malandati, scarpe vecchie, oggetti di vario utilizzo non più adatti alla propria funzione che poi “riciclavano”; qualche volta erano pagati anche in denaro, se gli stracci erano davvero troppo rovinati o non ce n’erano in casa, però ciò avveniva molto di rado anche perché, come detto, il saponaro nasce proprio per liberare le donne dalla roba vecchia.
Da tale mestiere nasce poi il famoso detto ccà ‘e pezze e ‘ccà ‘o sapone, che specifica l’equità di un baratto, non solo materiale, di un “io do a te e tu dai a me”.
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