19 maggio 2022

La CNN rivela i segreti dei cannoli siciliani,


                     I Cannoli, l’harem e la

                       “città delle donne”:

             le origini “osé” dell’alta pasticceria 

                                              incantano la CNN

                                 


 

La CNN rivela i segreti dei cannoli siciliani, la sua storia e delle leggende “a luci rosse“.
 La celebre testata americana ha deciso di dedicare un approfondimento al “re” della pasticceria siciliana, andando a Caltanissetta
 Cannoli Siciliani sulla CNN «

Fare un viaggio in Sicilia senza concedersi un delizioso cannolo è come visitare Napoli senza assaporare una pizza autentica. Praticamente inaudito». Comincia così l’articolo di CNN Travel che ci porta alla scoperta di una dolce tradizione. L’autrice avverte i lettori:
l’unica versione autentica si mangia in Sicilia.

 Quali sono i segreti di questa deliziosa ricetta? «La gente della città siciliana di Caltanissetta afferma che c’è un segreto molto volgare dietro le sue qualità allettanti»

 Proprio Caltanissetta è spesso considerata città natale dei cannoli siciliani: «Qui, la prelibatezza appetitosa è talvolta chiamata la “Verga di Mosè” o lo “Scettro del Re“, in riferimento alle sue presunte origini erotiche. Secondo la leggenda, il cannolo fu fatto per la prima volta dalle concubine di un emiro arabo per onorare la potenza sessuale del loro padrone, e la sua forma fallica non fu casuale».

 Per saperne di più, la CNN è andata a chiedere direttamente al sindaco della città, Roberto Gambino, che ha spiegato: «Caltanissetta è stata fondata dagli arabi ed è probabile che qui ci fosse un harem che l’emiro teneva gremito di donne che creavano il cannolo. Il nome ‘Caltanissetta’ deriva dall’arabo ‘qal-at-nisa’, che si traduce con la “città delle donne“»

. Il dolce della “città delle donne” 

Quindi la giornalista aggiunge: «Sebbene vi siano tracce di un cannolo “primordiale” risalente all’epoca dei romani, la ricetta che esiste oggi è di origine araba. Uno dei miti che circondano la pasticceria afferma che le “donne dentro il castello” ebbero l’idea di farcire la pasta sfoglia con la ricotta, per accogliere il loro amato di ritorno da Palermo. Apparentemente il cannolo era considerato un dolce ideale che poteva essere rapidamente preparato per il suo arrivo», si legge ancora.

 Ma le leggende e le storie non finiscono qui. 

 Cannoli Siciliani, dall’harem al monastero

 Il cannolo siciliano, infatti, si sarebbe “trasferito” dall’harem nei vicini conventi costruiti negli anni successivi: «Pare che le monache lo preparassero come un dolce tipico da servire durante il Carnevale, quando regnava il caos e le leggi morali cristiane furono momentaneamente riviste con riti pagani. Oggetti e dolci di forma fallica erano considerati un modo per celebrare la fertilità e la vita». 

 Secondo il maestro pasticciere Lillo Defraia, che ha trascorso 25 anni alla ricerca delle origini del cannolo, le “donne del castello” avrebbero tramandato la ricetta alle monache, custodi di una grande tradizione pasticciera.

 Defraia crede fermamente che il cannolo sia originario di Caltanissetta: «I nostri antenati – spiega alla CNN – coltivavano la varietà di farina di frumento Maiorca, morbida, versatile e ideale per fare torte e pasticcini. Questo è stato il primo tipo di farina utilizzato per fare il cannolo, che inizialmente era ripieno di ricotta mista a miele». 

 Le monache avrebbero migliorato l’originale ricetta araba, aggiungendo una ricotta più consistente. Tuttavia esistono anche alcune storie che riportano che furono le suore a inventare la specialità in primo luogo. Quel che è certo è che il cannolo siciliano rimane un dolce apprezzato in ogni parte dell’Isola, emblema dell’arte pasticciera.

20 dicembre 2021

Il Grembiule delle Nonne

 


Il primo scopo del grembiule delle Nonna era di proteggere i vestiti sotto, ma, inoltre: 
Serviva da guanto per ritirare la padella bruciante dal forno; 
Era meraviglioso per asciugare le lacrime dei bambini ed, in certe occasioni, per pulire le faccine sporche; Dal pollaio, il grembiule serviva a trasportare le uova e, talvolta, i pulcini!; Quando i visitatori arrivavano , il grembiule serviva a proteggere i bambini timidi; 
Quando faceva freddo, la Nonna se ne imbacuccava le braccia; 
Questo buon vecchio grembiule faceva da soffietto, agitato sopra il fuoco a legna;  
Era lui che trasportava le patate e la legna secca in cucina; Dall' orto , esso serviva da paniere per molti ortaggi dopo che i piselli erano stati raccolti era il turno dei cavoli; A fine stagione, esso era utilizzato per raccogliere le mele cadute dell' albero; Quando dei visitatori arrivavano in modo improvviso era sorprendente vedere la rapidità con cui questo vecchio grembiule poteva dar giù la polvere; All'ora di servire i pasti la Nonna andava sulla scala ad agitare il suo grembiule e gli uomini nei campi sapevano all' istante che dovevano andare a tavola;  
La Nonna l'utilizzava anche per posare la torta di mele appena uscita dal forno sul davanzale a raffreddare; ai nostri giorni sua nipote la mette là per scongelarla. Occorrerà un bel po' d' anni anni prima che qualche invenzione o qualche oggetto possa rimpiazzare questo vecchio buon grembiule.

21 novembre 2021

Per i siciliani "a tavula è trazzera", occhio a non farli arrabbiare: le 10 cose da evitare

Ecco riassunte alcune cose che un siciliano non riesce proprio a tollerare a "tavola". Un elenco creato un po' per i siciliani e un po' per i "forestieri" che si trovano a condividere la tavola con loro



            Una parmigiana di melenzane fritte


La Sicilia e il cibo, un connubio imprescindibile. Non a caso uno dei dei detti più famosi dell'isola è«A tavula è trazzera», ovvero «la tavola è una strada che unisce»

Per questo siamo certi che ogni sciliano che si rispetti pensi che la cucina, in tutte le sue declinazioni, sia "sacra", dalle abitudini a tavola alle ricette. Al contrario quindi ci sono alcune cose che un siciliano non riesce proprio a tollerare quando si tratta di "tavola".

Eccole riassunte in questo elenco creato un po' per i siciliani e un po' per i "forestieri" che si trovano a condividere il momento del pasto con dei siciliani.

La parmigiana è solo con le melenzane fritte

La parmigiana è fritta. Per i siciliani non si scappa! Niente melenzane grigiate o "lesse". Che si tratti di parmigiana, di pasta alla norma o di caponata, le melenzane devo essere fritte.

Non mangiare velocemente

Il pasto deve essere gustato, boccone dopo boccone. Tutto è lento, il momento del pranzo o delle cena va condivisa senza essere "assicutati".

Non lasciare nulla nel piatto

Tutto ciò che c'è nel piatto va mangiato. Pena la "mala taliata" degli astanti che potrebbero pensare che tu non abbia gradito il cibo, o che tu si ammalato.

Non incrociare le posate

I siciliani ci tengono che le posate a tavola o nel piatto non siano mai posizionate a forma di croce. L'usanza è legata alla fede ma anche alla superstizione e sembra essere davvero molto sentita in tutta la Sicilia.

Non rifiutare il bis

Il rifiuto del bis non è ammesso come possibilità soprattutto se si è ospiti e se proprio state scoppiando accettatene una mini porzione e così tutti saranno contenti.

Non usare il termine pangrattato

In Sicilia non si sa cosa sia il pangrattato, perchè da noi si usa "la mollica"o muddìca. Se viene tostato è chiamato muddìca calìata.

Non cucinare i legumi di domenica

Essendo considerati un alimento povero, in Sicilia i legumi si mangiano solo durante la settimana e mai la domenica, giorno in cui bisogna preparare "il pranzo della domenica", appunto. Un menù ricco, con pasta al forno, carne, parmigiana, cannoli, cassate.

Non acquistate dolci di poca qualità

Meglio niente che una "inguantiera" (trad. guantiera) di dolci di dubbia provenienza. È vero che in Sicilia è assai difficile trovare dolci non buoni ma capita e quindi meglio stare attenti proprio perché è raro che possa capitare. Il siciliano lo ricorderà a vita e te lo rinfaccerà ogni volta che vi incontrerete.

Non presentarsi a cena come ospiti a mani vuote

Nonostante ripetano più volte al proprio ospite di non portare nulla, in realtà i siciliani ci restano male se l'ospite si presenta a mani vuote. Quindi bisogna almeno portare una bottiglia di vino, di liquore o un dessert (vedi il punto precedente).

L'ultimo punto è un classico: guai a sbagliare il nome arancine/arancini

Una diatriba centenaria che non avrà mai fine probabilmente. E allorta tanto vale non crearsi nemici e stare attenti ad ulitizzare arancina o arancino in base all località in cui ci si trova così da evitare litigi e rancori. Sul lato occidentale, come Palermo, li chiamano arancine, nel versante orientale, Messina e Catania esistono solo gli arancini.



05 ottobre 2021

L'Oleastro di Inveges di Sciacca

 

L'Oleastro di Inveges di Sciacca



In contrada Scunchipani, a circa 7 chilometri dal centro di Sciacca, c’è un albero poco conosciuto, gigantesco e stregato, la cui leggenda si tramanda ormai da secoli.
Almeno così si racconta nella cittadina.

È l’Oleastro di Inveges, un ulivo secolare largo circa venti metri e alto cinquanta: un vero e proprio albero monumentale che si erge nel pieno della campagna in un fondo verde e circondato da altri ulivi. Impossibile non notarlo. Le sue dimensioni mastodontiche, il tronco massiccio e la folta chioma sempreverde fanno si che l’occhio si posi esclusivamente su di lui.

Pare sia lì da sempre, addirittura da prima della nascita di Gesù. Per questo il suo tronco, nodoso per l’età, risulta assai complesso da studiare e pare sia formato dall’unione di più alberi cresciuti ed incrociati tra loro: un padre e un figlio, addirittura.

Tante le storie che i saccensi hanno tramandato di generazione in generazione così come molteplici le credenze riportate su alcuni libri.

Salvatore Cantone, nella sua guida turistica "Sciacca Terme", ad esempio, racconta che molti contadini attribuivano la nascita dell’albero, che sorge nel fondo appartenuto nel ‘600 alla famiglia Inveges e da cui prende il nome, all’opera di un mago. Da qui anche l’idea che l’albero sia abitato da fate gelose del loro luogo incantato. Tanto che sembra impossibile staccare un ramo senza incorrere in chissà quale malanno.

Anche le sue olive non si possono raccogliere se non quando sono già per terra e solo per farne olio santo. Proprio per questo una realistica ricostruzione delle dicerie sull’albero potrebbero risalire all’antico proprietario che, per salvaguardare le sue olive, fece spargere la voce dell’albero stregato in modo da scongiurare possibili furti.

Eppure tanti, tantissimi, giurano di aver visto luci, movimenti e "cose" strane, che quasi non si possono raccontare. In effetti, un’altra leggenda vuole che ogni notte all’interno dell’albero si svolga
la fiera delle fate: un vero e proprio mercatino in cui mettere in mostra oggetti preziosi e abbaglianti.

C’è ancora chi racconta che ogni sette anni, ai piedi dell’albero magico, si svolga una fiera di animali velenosi da ammirare, solo per qualche minuto, allo scattare della mezzanotte. Impossibile dare però un appuntamento perché nessuno sa da quando far partire il conto degli anni.

Ma non è tutto: un’altra leggenda racconta che proprio accanto all’albero, durante la seconda guerra mondiale, era stato allestito un aeroporto che i nemici non riuscivano a bombardare. Per questo soprannominato aeroporto fantasma, resistette fino al 1942, quando venne colpito a causa di una spia che ne rivelò le coordinate precise. Eppure lui, l’oleastro, rimase lì, senza alcun danno.

Anche perché pare sia impossibile da bruciare. Insomma un vero monumento del tempo che racchiude segreti e leggende.

Nonostante non ci sia nulla di vero e tanti oggi sorridono raccontando gli aneddoti legati all’albero, in città nessuno si avvicina e sono pochissimi i turisti che conoscono la sua esistenza. 
Arrivarci non è difficile: basta seguire le indicazioni per la contrada Scunchipani e proseguire seguendo i cartelli che ne indicano la posizione precisa.


04 ottobre 2021

Aspittannu...


 

Arà cummari Cuncittina bangiornu, chi vi succiriu?. Nenti cummari Giuvannina, oggi è ruminica, aspiettu a ma figghiu ca mi veni a pigghiari, mi prummisa ca mi porta 'ncampagna, accussì nun riestu sula e mangiu cu tutta a famigghia sua. 
U fattu è ca su dui uri ca sugnu assittata cà, fuorsi su scurdau, oppuri sa muggheri stu fattu nun su calau. Aspiettu n'autru puzzuddu e puoi pigghiu a strata ra vanedda, casu mai intra piattu ri pasta nun mi manca. Cummari Cuncittina nun ma arrabbiati, i figghi a lu voti su fatti accussì, piggghiunu 'mpegnu, ma tanti voti pa paci 'nta famighhia fannu finta ca su scordunu. Lassumu stari cummari, nui simu matri ranni è a tutti sti cosi ci passamu i supra, sapiti ora chi facimu?. Simu tutti rui suli e 'ncattivati, viniti a casa mia ca agghiu prontu u sucu fintu e na pinna ri pasta 'mpastata sta matina. Grazie cummari, facimu cuomu vuliti vui, accussì ni facimu tanticchia ri cumpagnia.
🤗💞 Per non dimenticare felice domenica a tutti.


✒️ Testo di Vincenzo Carnemolla
 ( 📸 Foto di @Tonino Trovato)

13 agosto 2021

La leggenda di Scilla e Cariddi: i due mostri mitologici che abitavano lo stretto di Messina

 

Scilla, ninfa dai bellissimi occhi azzurri, come si racconta nelle “Metamorfosi” di Ovidio, 
era fortemente amata da un giovane e bellissimo pescatore di nome Glauco. 
Il ragazzo, un giorno, mentre pescava in un punto in cui l’erba cresceva più verde, 
si accorse che i pesci, ormai morti, che poggiava su quell’erba, tornavano in vita e si rigettavano in acqua. Decise di assaggiare quell’erba e improvvisamente il suo corpo cominciò a trasformarsi. Gli comparve una coda di pesce al posto delle gambe e le sue braccia, il corpo, i capelli diventarono di un verde-azzurro, colore del mare. Così Glauco, diventato tritone si gettò in mare felice, dove viveva come una divinità marina.

Nuotando verso lo stretto Glauco incontrò la bellissima ninfa Scilla. 
Come la vide, il dio marino se ne innamorò follemente ma la ragazza lo rifiutò per il suo aspetto; così Glauco decise di rivolgersi ad una esperta maga perché facesse innamorare Scilla di lui.



La maga Circe


Questo grande amore scatenò però la furiosa gelosia di Circe, che voleva Glauco (figlio di Nettuno?) tutto per sé. E sappiamo di cosa fosse capace la maga Circe, in altre storie e avventure epiche raccontate da Omero. Circe si offrì a Glauco, ma respinta da costui perché fortemente innamorato di Scilla, architettò una crudele vendetta nei confronti della rivale in amore e gettò una pozione magica nelle acque della caletta, dove la ninfa si immergeva.

Quest’acqua così contaminata trasformò la bella Scilla in un bruttissimo mostro marino. 
Quando la ragazza vide il suo corpo mostruoso, disperata, si immerse, per non riemergere più, negli abissi dello stretto di Messina, in una profonda grotta, nelle cui vicinanze viveva, nascosto, un altro mostro marino, Cariddi, con una gigantesca bocca piena di varie file di numerosissimi denti e una voracità infinita.




La rabbia nei confronti di Circe si ingigantiva nell’animo di Scilla e la vendetta si abbatté per prima su Ulisse e i suoi compagni, quando questi tentarono di oltrepassare lo stretto di Messina. 
Il povero mostro marino- racconta Ovidio – a causa di questo gesto fu trasformato in uno scoglio, ma anche come scoglio era l’incubo dei marinai che se ne tenevano alla larga.

Nella realtà Scilla non è altro che uno scoglio, mentre Cariddi è un gorgo. In passato, però, 
essi rappresentavano, davvero, un grave pericolo per pescatori e marinai, poiché le imbarcazioni in uso allora non erano in grado di attraversare, senza correre pericoli, quel tratto di mare. 
Si tratta in effetti di correnti che attraversano lo Stretto di Messina sede di particolari fenomeni tra cui i vortici, chiamati bocche di Cariddi, dovuti alle correnti di marea e all’incontro-scontro di due mari, il Tirreno e lo Ionio che hanno caratteristiche e profondità diverse.


La fontana di Nettuno a Messina: ai lati 
Scilla e Cariddi


Questi personaggi mitologici, esaltati dalla fantasia dei grandi scrittori Greci, che riuscivano a rendere umani certi fenomeni naturali inspiegabili, continuano ad affascinare la fantasia popolare. Appartengono di diritto al patrimonio culturale e a quel bagaglio di storie e leggende che si tramandano, si trasformano, si adattano e segnano l’appartenenza a un territorio.

Biagia - Silvana ❤ La Storia di Pozzallo_3 Silvana La Pira_3

                         - Silvana La Pira -

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